sabato, maggio 24, 2008
Aggiornamenti dal Sudafrica
Violenze in diminuzione
Dopo oltre 48 ore, il dispiegamento dell’esercito e dei reparti speciali della polizia nelle strade delle baraccopoli povere nelle cinture urbane delle principali città del Sudafrica sembra cominciare a dare i primi frutti. I mezzi di informazione locali, infatti, evidenziano oggi una diminuzione degli episodi di violenza sia nei sobborghi intorno a Johannesburg, che a Pretoria e nella zona di Città del Capo. In quest’ultima città, in realtà, per il momento è solo la polizia a gestire la situazione, mentre l’esercito verrebbe utilizzato in zone circostanti. Nonostante un miglioramento generale, sporadici episodi di violenze compiute da gruppi di giovani disoccupati sono proseguiti nella notte e anche al mattino. A Johannesburg oggi l’esercito ha fatto sapere di aver ucciso un giovane vandalo che aveva puntato un’arma da fuoco contro un militare. Intanto, secondo una stima della Croce Rossa, sono oltre 25.000 gli immigrati costretti a sfollare dalle violenze degli ultimi giorni. Molti di loro hanno perso tutte le loro cose negli attacchi, che si sono spesso conclusi con saccheggi, furti o con le baracche date alle fiamme e rase al suolo.
Migliaia in strada per protestare
Migliaia di persone sono scese in strada oggi a Johannesburg per manifestare la loro contrarietà alle violenze che da giorni sconvolgono le baraccopoli povere di varie zone del paese e che hanno fatto registrare attacchi ai danni di immigrati stranieri dei paesi confinanti ma anche contro sudafricani provenienti da regioni diverse. Violenze che, secondo i mezzi di informazione sudafricani, hanno provocato la morte di una cinquantina di persone, costringendo altre migliaia a fuggire dalle proprie case. La manifestazione, organizzata dalle Chiese di varie denominazioni e dai sindacati, ha paralizzato il traffico del centro città. Nei cartelloni dei manifestanti si potevano leggere frasi come: “la xenofobia fa male come l’Apartheid".
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I disordini si allargano a Cape Town
Si sono estese, per la prima volta, anche nella zona del Capo, nel sud-ovest del Sudafrica, le violenze contro i cittadini stranieri verificatesi negli ultimi 12 giorni nelle baraccopoli di Johannesburg e di Durban. Lo riferisce la polizia precisando che aggressioni e saccheggi sono avvenuti tra ieri e oggi nella baraccopoli di Du Noon, 20 chilometri a nord di Città del Capo. “La situazione resta tesa, anche se i disordini si sono placati dopo l’arresto di 12 persone” ha detto Billy Jones, portavoce delle forze dell’ordine, aggiungendo che "alcune bande hanno iniziato a saccheggiare negozi di proprietà di cittadini dello Zimbabwe, della Somalia del Bangladesh e di altri stranieri”. Un uomo, di nazionalità somala è morto durante la notte, “ma non possiamo ancora dire se la sua morte è collegata alle violenze” ha aggiunto Jones. Circa 500 immigrati sarebbero fuggiti dalla baraccopoli, cercando rifugio in uffici pubblici, mentre la polizia pattuglia a piedi le strade nei dintorni del sobborgo. Almeno 42 immigrati hanno perso la vita negli attacchi dei giorni scorsi a Johannesburg e più di 16.000 sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e a cercare rifugio in stazioni di polizia, chiese e uffici pubblici. Le forze dell'ordine hanno fermato 500 persone in tutto il paese, mentre il governo ha autorizzato l'impiego delle forze armate. Oggi, nell’università di Pretoria gli studenti hanno organizzato un sit-in per manifestare contro le violenze e chiedere assistenza per le vittime delle aggressioni dei giorni scorsi.
Oltre 100 arresti per i disordini a Cape Town
Sono oltre un centinaio, alcune fonti parlano addirittura di 150, le persone arrestate oggi nella zona di Città del Capo per gli attacchi ai danni di stranieri e sudafricani avvenuti nel corso della giornata nelle borgate povere e nelle baraccopoli della cintura metropolitana. Lo riferiscono i mezzi di informazione sudafricani, precisando che per tutta la giornata gruppi di giovani armati di mazze, bottiglie, armi bianche e quant’altro hanno provocato disordini, danni, saccheggi nelle zone di Strand, Khayelitsha, Mitchell's Plain, Phillipi, Malmesbur e Knysna. Le bande hanno preso di mira gli esercizi commerciali gestiti da somali e zimbabwani, due delle comunità di immigrati maggiormente presenti nell’area del Capo, costringendo le forze dell’ordine a evacuare alcun aree. Per il momento si ha notizia di una sola vittima e di alcuni feriti nel caos di oggi, ma c’è il rischio che nelle prossime ore con il ritorno alla calma il bilancio possa salire. E mentre l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Acnur/Unhcr) ha espresso preoccupazione per le violenze, i paesi confinanti stanno avviando procedure d’emergenza per gestire il ritorno alle frontiere di migliaia di emigranti. Il governo mozambicano ha dichiarato lo stato d’emergenza per poter attivare la cellula speciale della protezione civile, così da garantire una risposta coordinata al rientro dei suoi cittadini. Intanto, mentre in molti continuano a definire le violenze ‘xenofobe’, si fa sempre più spazio tra i vertici del governo sudafricano e dei servizi di intelligence l’ipotesi che dietro al caos in corso da giorni in varie zone del paese vi sia la mano di “forze esterne” in coordinamento con elementi interni che hanno tutta l’intenzione di destabilizzare il Sudafrica e il governo in carica in vista delle elezioni del prossimo anno.
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mercoledì, maggio 21, 2008
Buone notizie da Cacao
Calciatori contro il razzismo
Nel giardino coperto del Parlamento austriaco si e' giocata un'importante partita di calcetto contro il razzismo. Passato inizialmente in vantaggio e' stato battuto 2 a 1.
(Fonte: Repubblica)
Bye bye mine antiuomo
Il 31 marzo, la Repubblica del Sudan ha ultimato la distruzione di tutte le riserve di mine antiuomo presenti nel Paese.
(Fonte: Goodnewsagency)
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Senegal, il suicidio delle balene
Molti i curiosi. C'è chi ha chiesto una foto sopra un mammiferi
La morte volontaria dei cetacei è un fenomeno studiato da lungo tempo:
Un centinaio di balene si sono arenate sulla spiaggia di Yoff, a pochi chilometri da Dakar (IMMAGINI). Ieri sera alla popolazione del posto si è presentato uno spettacolo desolante. Dal litorale di Tongor, fino al quartiere Layène, c'erano un numero impressionante di balene, per la maggior parte ancora vive.
Se ne potevano contare un centinaio: da piccole a grandi, lunghe circa cinque metri. Alcune cantavano ancora o muovevano la coda, sotto lo sguardo compassionevole ma impotente di abitanti e curiosi. Alcuni hanno subito tentato, invano, di avvisare Haidar El Ali, ecologista e proprietario dell'Oceanium. Altri hanno allertato i media. Cosa fare? Rimetterle in mare? In che modo? Altri ancora hanno pensato che sarebbe stata una perdita di tempo. "Le balene sono solidali davanti alla morte. In ogni caso tornerebbero sulla spiaggia", ripetevano in molti.
Questo concetto non è privo di senso se si tiene conto che l'idea di un suicidio collettivo delle balene è sempre stata ipotizzata. Alcuni studiosi dell'università della Georgia ritengono che l'insabbiamento sarebbe una risposta primitiva allo stress: le balene seguirebbero un antico istinto di ritorno verso la sicurezza della terra ferma, da cui, da buoni mammiferi provengono. Secondo altri scienziati inglesi dell'Università di Cambridge, le balene si insabbierebbero quando sono turbate dalle variazioni improvvise del magnetismo terrestre. Seguirebbero quindi delle linee che le portano generalmente sulla costa, a volte sulla terraferma.
Sulla spiaggia di Yoff non è ancora stata presa nessuna decisione, anche dopo il passaggio degli agenti del servizio di pesca. Per i giovani che cominciavano ad abituarsi allo spettacolo (l'insabbiamento dei cetacei è iniziato alle 19 di ieri ora locale), la presenza di un fotografo ha creato un effetto strano: hanno voluto immortalare la scena chiedendo di essere fotografati in piedi o seduti sopra una balena.
Sembra insomma che con il passare delle ore il destino dei cetacei sia passato in secondo piano. A questo punto agli abitanti e alle autorità della zona non resta che preoccuparsi del pericolo che la decomposizione delle carcasse causerà alle popolazioni costiere e anche al mare.
(Fonte: Repubblica.it)
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Sudafrica, i raid anti-immigrati si allargano a Durban
Gli scontri anti-immigrati, scoppiati la scorsa settimana ad Alexandria, nei pressi di Johannesburg, si sono allargati oggi alla città portuale di Durban, dove un gruppo di 200 manifestanti armati di bottiglie e bastoni avrebbe preso d'assalto alcuni negozi ritenuti di proprietà di immigrati nigeriani.
Per il momento, non si hanno notizie di morti o feriti. Il bilancio delle vittime rimane fermo alle 24 contate fino a ieri, mentre sarebbero circa 10.000 gli immigrati fuggiti dalle loro case e rifugiatisi in stazioni di polizia e chiese. Oggi, la situazione sembra migliorata nei dintorni di Johannesburg, ma Jacob Zuma, il presidente dell'African National Congress (il partito al potere) non ha escluso l'utilizzo dell'esercito se la situazione dovesse peggiorare. Gli immigrati (in Sudafrica ce ne sono 5 milioni su 50 milioni di abitanti) sono visti da parte della popolazione come i responsabili dell'alto tasso di criminalità e come concorrenti nella ricerca di posti di lavoro. Il Paese vive una grave crisi economica, con il settore minerario in calo e un tasso di disoccupazione reale che si ritiene tocchi il 40 percento.
(Matteo Fagotto - Peacereporter)
AGGIORNAMENTO, Repubblica.it:
Sudafrica, attacchi a immigrati
Salito a 42 il numero dei morti
JOHANNESBURG - E' salito ad almeno 42 morti accerati il bilancio delle violenze a sfondo xenofobo in Sudafrica, dove da giorni gli immigrati da altri Paesi del continente sono bersaglio di attacchi tanto sanguinosi quanto sistematici, concentrati soprattutto nell'area intorno a Johannesburg. Lo ha reso noto l'agenzia d stampa Sapa, secondo cui gli sfollati costretti alla fuga ammontano come minimo a sedicimila. Di fronte al precipitare della situazione, in giornata il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha approvato il dispiegamento dell'Esercito.
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martedì, maggio 20, 2008
Sudafrica, i poveri bianchi
Johannesburg (giugno 2005) - Un uomo, di età indefinibile, con l’aria dimessa e gli abiti logori, spinge un piccolo carrello lungo i viali ombreggiati di Troyville. Questo quartiere, poco distante dal centro di Johannesburg, durante l’apartheid, era abitato prevalentemente da italiani. Ora è passato ai neri della meddle class ed è difficile incontrarvi persone che non abbiano la pelle nera. L’uomo però è indiscutibilmente bianco e sul carrello trasporta tutte le sue cose. È un homeless, un barbone o, per dirla in afrikaans, un armblank: un povero bianco. Fino a una decina di anni fa, una scena del genere sarebbe stata impensabile. Oggi, nel panorama urbano del nuovo Sudafrica, appare plausibile.
Nella maggior parte dei casi, la minoranza bianca continua a vivere in una situazione di privilegio economico. Ma c’è una fetta di questa minoranza, complessivamente poco più del dieci per cento, che si è risvegliata povera.
(Cliccate qui per leggere tutto l'articolo)
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Violenze in Sudafrica: la punta dell'iceberg
Matteo Fagotto ha scritto un bell'articolo -sempre per Peacereporter- che vi consiglio di leggere:
Nuvoloni neri sono scesi sulla nazione arcobaleno, sul Paese miracolato che riuscì a gestire in maniera relativamente pacifica il passaggio di consegne tra il regime dell'apartheid e quello della maggioranza nera: dallo scorso fine settimana, le townships sudafricane che circondano Johannesburg sono state investite da un'ondata di attacchi xenofobi che hanno provocato almeno 24 morti e costretto alla fuga circa 10.000 immigrati. Una violenza che è solo la punta di un iceberg cresciuto costantemente negli ultimi anni.
Anche se la polizia assicura che la situazione sta tornando sotto controllo, per il Sudafrica sarà difficile dimenticare quanto accaduto in questi giorni: dalle townships di Alexandra e Diepsloot, le violenze contro gli immigrati, la maggior parte dei quali provenienti dallo Zimbabwe, si sono allargate a macchia d'olio a suon di uccisioni, stupri e saccheggi. Le immagini delle vittime bruciate vive dalla folla hanno fatto il giro del mondo, spingendo il presidente Thabo Mbeki e l'arcivescovo Desmond Tutu, premio Nobel per la pace, a lanciare un appello per fermare le violenze. Invano Tutu ha ricordato che, durante la lotta contro l'apartheid, erano alcuni tra i Paesi confinanti (Zimbabwe e Mozambico in primis) a dare rifugio e appoggio politico delle popolazioni ai combattenti sudafricani. Accusati di essere i primi responsabili della crisi economica e dell'aumento della criminalità (due tra i principali problemi del Paese), gli immigrati sono ora costretti a nascondersi per evitare il peggio.
Il governo ha inviato centinaia tra membri dell'African National Congress (il partito al potere) e poliziotti per calmare la popolazione ed evitare nuove violenze. Nell'ultima notte si sono registrati altri due morti, ma la situazione sembra stia tornando lentamente alla calma. Tra i seimila e i diecimila immigrati avrebbero abbandonato le proprie case, chiedendo asilo a chiese, stazioni di polizia e sedi di Ong.
Gli immigrati, stimati a 5 milioni ( tre dei quali provenienti dallo Zimbabwe), costituiscono il 10 percento della popolazione circa. Giunti a diverse ondate perché attratti dalle maggiori prospettive economiche o per sfuggire a realtà disastrate, come quella dello Zimbabwe, sono impiegati nei lavori più umili e pericolosi. Ma i problemi economici degli ultimi anni, che comprendono un declino nel settore minerario, alti tassi di disoccupazione e un'inflazione crescente, hanno ridotto i margini di crescita, suscitando il malcontento dei locali. Da qui a percepire gli immigrati come dei “ruba lavoro” e dei criminali, il passo è stato breve.
Il Sudafrica è terra di forti contraddizioni, anche in termini di politica verso l'immigrazione: da un lato, la legislazione a favore di immigrati e rifugiati politici ha permesso a milioni di persone di trovare ospitalità nel Paese. Ma il forte numero di stranieri ha provocato una crisi di rigetto che, negli ultimi anni, è stata cavalcata anche dalle forze politiche. Nelle elezioni del 1999, esponenti di tutti i partiti politici fecero leva sul malcontento verso gli immigrati per guadagnare voti. E dal 2002 ad oggi, una serie di leggi ha reso più difficoltosa la concessione di visti e status di rifugiati agli immigrati.
Secondo le ricerche di alcune organizzazioni umanitarie che operano nel Paese, dal 2005 vi sarebbero stati almeno 16 attacchi contro stranieri, la metà dei quali avvenuti negli ultimi sei mesi: in marzo, sette immigrati sarebbero stati uccisi ad Atteridgeville, presso Pretoria, mentre l'8 gennaio due somali sarebbero morti presso Jeffreys Bay e East London. Stando alle cifre fornite dalla Somali Association of South Africa, 417 somali sarebbero stati uccisi dal 1997 ad oggi. Numeri che non sono spiegabili solo con alti tassi di criminalità del Paese, tra i peggiori di tutta l'Africa. E che fanno temere un peggioramento della situazione, se le autorità non affronteranno il problema alla radice.
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Processo ai pirati del Sudafrica
Grazie a una legge del XVIII secolo sui pirati un gruppo di sopravvissuti all'apartheid sfida trenta super-aziende, all'epoca in affari con Pretoria: Shell, Coca-Cola, Ibm... E il processo si farà: troppi giudici della Corte suprema sono anche azionisti di quelle aziende.
I nomi in gioco sono di quelli che fanno tremare i polsi: Shell, Citigroup, Barclays, Coca-Cola, Colgate-Palmolive, Dow Chemical, Exxon Mobil, Ford, Fujitsu. E le svizzere Ubs, Credit Suisse, Holcim, Ems Chemie, Novartis, Nestlé, Unaxis, Sulze. Colossi in grado di piegare alla propria volontà qualunque burocrate, soprattutto se decidono di lavorare insieme. Ma la Corte suprema degli Stati uniti ha spiazzato tutti: le multinazionali (una cinquantina in tutto) potrebbero essere processate dalla magistratura americana con l'accusa di avere di aver violato le leggi internazionali, appoggiando il governo razzista di Pretoria e aggirando l'embargo all'epoca dell'apartheid. Per questo potrebbero essere costrette a pagare 400 miliardi di dollari a cittadini sudafricani vittime delle violenze dell'allora regime.
In precedenza i giudici (insieme alle compagnie, all'amministrazione Bush e all'attuale governo sudafricano) avevano chiesto l'intervento della Corte suprema per fermare il processo, asserendo che la causa avrebbe rischiato di danneggiare le relazioni internazionali e lo sviluppo economico del Sudafrica e punito in modo arbitrario le società coinvolte. Il Dipartimento di Stato Usa si è persino premurato di avvisare i giudici dei «rischi potenzialmente molto gravi di conseguenze negative per gli interessi degli Stati Uniti». Nel suo minority report - l'opinione di minoranza di un giudice in disaccordo con la sentenza - il giudice Edward Korman ha detto di considerare la causa «un insulto al governo post-apartheid, in maggioranza nero, di un popolo libero». Dare ascolto a circa cento vittime in cerca di giustizia, tante sono quelle il cui nome compare sul procedimento legale, avrebbe significato «dare l'impressione che gli Stati uniti non rispettassero la capacità dei sudafricani di amministrare la propria giustizia e che le corti americane potessero essere meglio attrezzate per giudicare il grado di riconciliazione nazionale raggiunto nel paese». «Gli affari sono affari», ha proseguito recentemente Korman: «quelle imprese stavano semplicemente lavorando» (nessuna di esse, in ogni caso, ha sentito la necessità di presentarsi davanti alla Commissione per la libertà e la riconciliazione, al crollo del regime razzista). Korman non è un ultradestro militante: deve la sua notorietà a un famoso conflitto giudiziario tra sopravvissuti dell'Olocausto e banche svizzere, in cui vinsero i primi. Ma il Sudafrica è un'altra cosa.
Chiamata a giudicare, la Corte suprema degli Stati uniti si è però ritrovata senza il quorum necessario, dopo che quattro giudici su nove sono stati costretti a rinunciare al caso per conflitto di interessi: avevano legami (i più vari, dal possedere azioni all'essere familiari di dirigenti) con la Banca d'America, la Bristol-Myers Squibb, la Colgate-Palmolive, il Credit Suisse, Exxon Mobil, Hewlett-Packard, IBM e Nestlé. I supremi magistrati si sono perciò trovati con le mani legate dalle leggi federali, che richiedono che siano almeno sei i giudici che trattano ogni ricorso alla Corte, e non hanno potuto fare altro che attenersi al precedente grado di giudizio. Cioè la sentenza della seconda corte di appello di New York che giudicava ammissibili le denunce (nonostante il giudice Korman). Il processo si farà.
L'iter giudiziario era partito nel 2002, quando alcuni gruppi di privati cittadini e organizzazioni non governative sudafricane, tra cui il «Khulumani support group»" e il «Laywers for the south africans» cominciarono a presentare ricorsi alla giustizia americana a nome di decine di migliaia di sudafricani vittime del regime dell'apartheid, pretendendo dalle multinazionali che facevano affari con il governo razzista risarcimenti per centinaia di miliardi di dollari. Ovviamente si è trattato di un cammino in salita, sia per lo scarso appoggio ricevuto in patria dalle istituzioni (il governo sudafricano si è schierato contro i ricorsi) che per lo strapotere delle multinazionali contro cui avevano deciso di schierarsi.
Gli avvocati avranno ora il non facile compito di dimostrare che le aziende hanno violato leggi internazionali dando assistenza al governo antidemocratico sudafricano. Per poter arrivare a presentare le denunce negli Stati uniti, i legali sudafricani hanno fatto ricorso a un escamotage più volte tentato e mai riuscito negli ultimi quindici anni, quello di fare riferimento a una legge del XVIII secolo, la «Alien tort claims act», che consente agli stranieri di ricorrere alla legge americana per violazioni del diritto internazionale. Quel vecchio provvedimento era stato pensato per essere utilizzato, ironia della sorte, contro i pirati.
La questione rischia di mettere in crisi la politica americana nei confronti di molti governi amici accusati di violazioni dei diritti umani, anche se non è certo il caso del Sudafrica, e sembrano andare in questa direzione anche le parole di Nelson Mandela, che giovedì ha invitato i compatrioti a superare «le divisioni distruttive» che rischiano di riemergere nel paese, invitando i sudafricani a «ricordare l'orrore da cui veniamo». «Non dimenticate - ha detto Mandela nel suo intervento - la grandezza di una nazione che è riuscita a sanare le proprie divisioni, non risprofondiamo in quelle divisioni distruttive».
Gli avvocati sudafricani non cantano ancora vittoria: per ora, dicono, si tratta solo di un ostacolo imprevisto nella strategia della difesa. L'obiettivo ora è quello di convincere il governo della Rainbow Nation ad appoggiare il loro lavoro: Mandela ha ragione ad auspicare che le ferite del passato possano rimarginarsi, ma non tutti sono convinti che sia sufficiente un colpo di spugna.
Immediate (e scontate) anche le reazioni delle multinazionali. UBS, per esempio, la grande banca elvetica chiamata in causa, si è dichiarata «molto delusa» dal fatto che i giudici americani non abbiano ancora messo fine al contenzioso. I vertici del potente istituto di credito rimangono comunque molto fiduciosi e si dicono convinti che le richieste saranno alla fine respinte dai tribunali. Purtroppo, non sono i soli.
La Corte suprema Giudici e (buone)azioni Conflitto di interesse, si ritirano dal caso quattro togati su nove
La Corte suprema degli Stati uniti è composta di nove giudici. Quattro di loro si sono dichiarati in conflitto di interesse rispetto al caso dei giganti economici americani citati in giudizio dai sopravvissuti dell'apartheid. Il motivo è scritto nelle loro dichiarazioni dei redditi.
Nel portafoglio Ibm, Palmolive e Nestlé, oppure il figlio banchiere
Il presidente della Corte suprema, John Roberts, ha azioni della Hewlett-Packard. Il giudice Stephen Breyer possiede titoli di Colgate-Palmolive, Bank of America, Ibm e Nestlè. L'ultimo arrivato, Samuel Alito, nel suo pacchetto possiede Bristol-Myers, Squibb e Exon-Mobil. E il giudice Anthony Kennedy si è dichiarato in conflitto di interesse probabilmente perché (i giudici non sono tenuti a spiegare i motivi) suo figlio è un banchiere del gruppo Credit Suisse.
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Il nuovo Sudafrica di Peter de Villiers
E' la prima nazionale sudafricana allenata da un uomo di colore. E' la prima nazionale sudafricana (in verità è la seconda, ma le "amichevoli" postmondiale non contano) dei campioni del mondo in carica. E', insomma, la nazionale di Peter de Villiers, primo coach nero degli Springboks. Per lui una sfida difficile. Anzi, quasi impossibile. Quella di non far rimpiagere Jake White, e di dimostrare che la scelta di un allenatore nero non è stato un errore sportivo in nome della politica.
In vista dei test match estivi (che anticiperanno poi il Tri Nations) Peter de Villiers ha convocato 42 giocatori per una serie di allenamenti. Mancano i giocatori degli Sharks, i quali verranno convocati solo alla fine della loro avventura in Super 14 (giunto alle semifinali); mentre sono stati riconfermati tutti i campioni del mondo che hanno alzato la coppa a Parigi. Il Sud Africa sfiderà il 21 giugno 2008, in Sud Africa, l'Italia di Nick Mallett nel primo Test Match azzurro dopo il 6 Nazioni.
Ecco la lista dei 42 springbok convocati:
Trequarti: Heini Adams, Gcobani Bobo, Meyer Bosman, Tonderai Chavhanga, Jean de Villiers, Isma-eel Dollie, Fourie du Preez, Jaque Fourie, Peter Grant, Bryan Habana, Butch James, Enrico Januarie, Conrad Jantjes, Zane Kirchner, Louis Ludik, Percy Montgomery, Akona Ndungane, Jongi Nokwe, Wynand Olivier, Earl Rose.
Avanti: Andries Bekker, Bakkies Botha, Schalk Brits, Schalk Burger, Wian du Preez, Kabamba Floors, Hilton Lobberts, Victor Matfield, Gerhard Mostert, Brian Mujati, Chiliboy Ralepelle, Danie Rossouw, John Smit (c), Juan Smith, Pierre Spies, Gurthrö Steenkamp, CJ van der Linde, Heinke van der Merwe, Wikus van Heerden, Joe van Niekerk, Duanne Vermeulen, Luke Watson.
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Rugby, Mallett: "Nuove regole uccidono identita' nazionali"
(Fonte: Gazzetta.it)
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lunedì, maggio 19, 2008
Pistorius: "Ho vinto, comincia un viaggio stupendo"
Dal Manifesto di sabato (17/5):
Intervista allo sprinter dopo la sentenza. "E' un giorno meraviglioso per me e per lo sport"
Pistorius, ha vinto la sua battaglia. Potrà correre ai Giochi con i normodotati.È il giorno più bello della mia vita ma anche un giorno meraviglioso per lo sport. Sono stati mesi durissimi, di grande tensione. Si è chiuso un brutto viaggio e ne comincia uno stupendo. Ora posso ricominciare a inseguire il mio sogno, partecipare alle Olimpiadi.
La Federazione internazionale aveva torto nei confronti suoi e dei disabili.
Io non mi considero né disabile né normodotato, sono uno sprinter e così la gente mi deve vedere. Lo sport deve unire, non dividere. E nemmeno giudicare. Si è speculato moltissimo sui presunti vantaggi che le protesi mi avrebbero garantito, ma sono in molti a usarle e nessuno raggiunge i miei livelli. Spero che questa sentenza zittisca le folli teorie sul fatto che corro con un vantaggio sleale. Di sicuro riapre le porte dell'atletica ai disabili. La Iaaf, d'ora in poi, dovrà valutare caso per caso quanto la «meccanica» possa incidere sulla prestazione dell'atleta. A Losanna, il Tas ha preso in considerazione la globalità del problema, non solo l'aspetto tecnologico. Non sarà più possibile escludere un atleta a priori.
Ora dovrà guadagnarsi la qualificazione per Pechino. Il minimo sui 400 è fissato a 45''55, deve abbassare il suo record di un secondo. E non c'è molto tempo.
La bellezza dello sport è riuscire a migliorarsi, ho grandi speranze anche se sarà durissima. Mi aspettano settimane di intenso lavoro per tornare in forma. Ho saltato la stagione in Sudafrica e un paio di corse internazionali, ho tempo fino a luglio e ci proverò fino in fondo. L'obiettivo è grandissimo.
La sua vita sta per essere stravolta?
Dovrò allenarmi e basta. Domenica rientrerò in Sudafrica e a fine giugno tornerò in Europa per gareggiare. Mi attendono due gare di qualificazioni alle Paralimpiadi, in Olanda e Germania, dove dovrei ottenere i tempi minimi per 200 e 400 metri; poi sarò a Milano, il 2luglio, e a Roma, per il Golden Gala, l'11. Ho altre offerte per un terzo meeting, dovrei andare a Lucerna. Lì mi giocherò l'accesso ai Giochi.
E se non ce la facesse a qualificarsi?
Non sarebbe un dramma. Se non sarà Pechino, sarà Londra nel 2012. Mi basta correre perché mi fa sentire libero di esprimere le mie emozioni e la mia aggressività a prescindere che sia davanti a migliaia di spettatori o in uno stadio vuoto.
Non crede che Pechino possa essere la sede meno indicata per la sua impresa? Le violazioni dei diritti umani, la censura e la repressione in Tibet sembrano stridere con la realizzazione del suo sogno.
Ve l'ho detto, lo sport deve unire. La politica deve restarne fuori.
Amen
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sabato, maggio 17, 2008
Il Sudafrica si interroga davanti alle violenze contro gli immigrati
Già ieri, il consiglio dei ministri aveva condannato “nei termini più duri possibili” le violenze di domenica scorsa ad Alexandra, in cui sono morte tre persone e decine sono rimaste ferite, facendo sapere di aver creato un gruppo di lavoro speciale per investigare sull’accaduto e fornire suggerimenti su come affrontare i sintomi di una crescente tensione tra sudafricani dei quartieri poveri e immigrati stranieri.
Non è ancora chiaro chi abbia ordinato le spedizioni punitive contro cittadini immigrati nel sobborgo: alcuni media locali chiamano in causa i membri dell’Associazione dei residenti di Alexandra, un sovraffollato quartiere povero non distante del centro della città, irritati perché l’amministrazione locale avrebbe assegnato agli immigrati case popolari; altre fonti sottolineano, invece, che i fatti sono degenerati perché criminali comuni hanno approfittato delle tensioni per commettere rapine e furti sia nelle case degli immigrati che dei cittadini sudafricani.
Scontri tra abitanti e polizia, intervenuta per ristabilire l’ordine arrestando inoltre una cinquantina di persone, sono continuati fino a ieri sera.
Un migliaio di stranieri si sono trasferiti in tende davanti alla stazione di polizia di Alexandra, dove l’accampamento è stato allestito dagli agenti accortisi che gli immigrati si erano radunati lì intorno in cerca di protezione, e sono ora assistiti dalla Croce Rossa.
Nelle stesse ore in cui si pronunciava il governo, ci sono stati disordini anche nella township di Diepsloot, dove gli stranieri stavano scappando da Alexandra; qualcuno – secondo un testimone teppisti ubriachi- ha alzato barricate e incendiato copertoni per respingere l’arrivo degli immigrati; la polizia ha condotto per tutta la giornata un operazione nel quartiere in cerca dei responsabili, arrestando 13 persone. “I cittadini sudafricani non sono preparati ad affrontare l’immigrazione, per loro è un fenomeno molto nuovo, iniziato dopo il 1994, sul quale si sovrappongono altri problemi socioeconomici, primo tra tutti quello della disoccupazione” dice alla MISNA Sergio Carciotto uno dei coordinatori dello Scalabrini Center di Cape Town, il centro di assistenza per rifugiati creato dai missionari scalabriniani, riferendo che nei mesi scorsi anche a Worcester, un sobborgo di Cape Town, sono stati incendiati e razziati i negozi degli immigrati somali, in quel caso, dopo che un criminale comune somalo aveva ucciso una persona durante un tentativo di rapina. “Qui da noi sono i somali e gli etiopi i più esposti ai facinorosi perché sono anche più intraprendenti nel commercio – continua Carciotto – mentre tra i cittadini sudafricani delle township decenni di apartheid si fanno sentire anche in una più ridotta capacità imprenditoriale e minore formazione scolastica. Non è raro che dall’estero vengano persone più preparate della media dei sudafricani poveri, i quali sono stati per generazioni esclusi dall’istruzione qualificata, e qualche volta le aziende preferiscono i laureati stranieri ai cittadini locali”.
Una maggiore informazione tra i sudafricani sui contesti di origine degli immigrati, soprattutto i rifugiati e profughi, e corsi di formazione professionale estesi a tutti, per moltiplicare le opportunità di lavoro, possono essere vie per allentare le tensioni sociali, secondo l’esperienza fatta da Carciotto nello Scalabrini Center.
(Fonte: Misna)
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giovedì, maggio 15, 2008
Monito di Mandela sulle "divisioni distruttive"
(Fonte: Missionari d'Africa)
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lunedì, maggio 12, 2008
Halilhodzic in Costa d'Avorio
Halilhod avrà il compito di guidare Drogba e compagni nelle qualificazioni a Sudafrica 2010 e alla Coppa d'Africa in Angola (un unico torneo per entrambe le manifestazioni) che si giocherà all'inizio dello stesso anno: gli ivoriani saranno impegnati nel gruppo 7, con Mozambico, Botswana e Madagascar.
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venerdì, maggio 09, 2008
Aaaaahhhhrgggg!!!!
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Angola 2010: una festa
L'Angola è un Paese disastrato, assolutamente non in grado di far fronte a un simile impegno senza affamare ulteriormente i propri poveri. Ho parlato spesso delle difficoltà sudafricane, ma vi garantisco che, in confronto a quanto accade in Angola, Pretoria sembra la capitale della Svizzera.
Ecco, di nuovo, mi trovo a dovermi scusare. Per la foto (fonte: Gruppo di Volontariato Civile), questa volta. Detesto fare ricorso a titoli a effetto o a immagini scioccanti (non lavoro per Studio Aperto), ma mi è sembrato l'unico sistema per attirare davvero l'attenzione.
Giudicate voi se sia il caso di attendere davvero una Coppa d'Africa.
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100mila morti
Il tragico bilancio del ciclone Nargis sale a 100.000 vittime. Oltre 1 milione di birmani sono senza casa.
Cesvi – presente dal 2001 in Myanmar – sta organizzando l’intervento di emergenza sanitaria in tre township nei pressi dell’ex capitale, Yangon, in cui si stanno rifugiando i sopravvissuti al ciclone che vivevano nella regione circostante e nel regioni meridionali, le più colpite dall’uragano.
“Fuori Yangon ancora non è arrivato nessun aiuto e in zone come Didaye, Maulamyinegyn, Pyapone, non c'e' nessuno o solo un’ organizzazione” afferma Silvia Facchinello, responsabile Cesvi in Myanmar "Anche per questo abbiamo scelto di intervenire in queste aree”.
In attesa dell’autorizzazione ad intervenire nelle zone maggiormente colpite, sulla base degli accordi assunti con le Nazioni Unite, il personale sanitario Cesvi interverrà per far fronte all’emergenza profughi con un intervento sanitario a favore di 5.000 famiglie e oltre 20.000 persone in maggioranza donne e bambini attraverso l'attività di cliniche mobili che forniranno cure e trattamenti sanitari. (CLICCATE QUI per donare)
L'approfondimento di Peacereporter (il regime respinge i soccorsi)
Il reportage di Repubblica /AUDIO
La galleria fotografica (Save the Children per Repubblica.it)
Silvia Facchinello, Cesvi, da Rangoon (Audio)
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La Fifa revoca la sospensione al Ciad
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mercoledì, maggio 07, 2008
L'Einstein africano
A parlare Neil Turok, uno dei più brillanti matematici contemporanei (oltre che figlio di noti attivisti anti-apartheid), fondatore dell"African Institute for mathematical sciences" (Aims) a Muizenberg, Sud Africa, in cui si formano giovani talenti matematici provenienti da tutta l’Africa.
Recentemente, ha ottenuto il premio TED per realizzare un "African Einstein programme"; il premio consiste nel finanziamento di 100.000 dollari che si ottiene esponendo la propria idea a un’assemblea di "innovatori" riunita per scegliere il “desiderio” più promettente e meritevole.
Turok lancerà il programma "African Einstein", per scovare scienziati in erba nelle scuole africane e sostenere i loro studi specialistici di alta qualità, il prossimo 12 maggio all’Aims con una conferenza tenuta dall’astrofisico teorico Stephen Hawking.
(Fonte: Misna)
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martedì, maggio 06, 2008
Emergenza Myanmar: 15mila morti, trentamila dispersi
E' salito a 15mila morti e almeno trentamila dispersi il bilancio, ancora provvisorio, del ciclone Nargis, che si è abbattuto tra sabato e domenica scorsa sul Myanmar meridionale, lasciando centinaia di migliaia di persone senza riparo e senza acqua potabile.
Cesvi, presente dal 2001 nel Paese, si è immediatamente mobilitato per prestare il primo soccorso alle popolazioni colpite. (la responsabile Cesvi in Myanmar racconta la sua testimonianza dal campo a Repubblica.it).
Il regime militare, che governa il Paese da
vent'anni, ha lanciato un appello alla comunità
internazionale per l'invio di aiuti (fatto che lascia trapelare la devastante gravità della situazione). Il governo ha
stabilito che nelle zone colpite dal ciclone il referendum
costituzionale previsto per il 10 di maggio sarà rinviato,
mentre si terrà regolarmente nel resto del Paese.
Ovviamente, di fronte a tragedie di queste dimensioni, tutto passa in secondo piano. Mondiali compresi. Mettete mano al portafogli, allora, e cliccate qui.
(galleria fotografica - video amatoriale)
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Donadoni e i giovani al Mondiale
Che dire? Speriamo bene. Donadoni ha fatto un gran lavoro con il gruppo azzurro, facendo rimangiare a molti critici (compreso il sottoscritto) un giudizio iniziale non del tutto positivo. I presupposti per far bene a giugno ci sono tutti, non resta che augurarci di vedere il ct anche in Sudafrica, già nella prossima Conferations Cup del 2009.
Ecco, di certo, non mi sembra un tipo scaramantico.
(Fonte: Gazzetta.it)
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Brevissime Fifa: grane Iran
La Fifa ha bocciato la proposta della Federcalcio iraniana, che vorrebbe che la nazionale femminile del paese islamico indossasse una divisa particolarmente "castigata" e quindi conforme ai principi dell'islam, con pantaloni lunghi, camicia fino alle ginocchia e cappello. La federazione internazionale ha fatto sapere che nessuna nazionale femminile iraniana potra' partecipare alle manifestazioni da essa organizzate senza indossare i classici pantaloncini e maglietta. (Agr)
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I tabloid avvisano il Trap
"Good beginning is half the battle", "chi ben comincia è a metà dell’opera", sottolinea argutamente Vincent Hogan sull’Irish Independent del 5 maggio in una lettera aperta al Trap. Lodi e riverenza non mancano nei confronti del guru italiano. Ma nello stesso editoriale Hogan mette in guardia il nuovo mister sui problemi che dovrà affrontare, spezzando così la serie di esorbitanti elogi sinora in auge sulla stampa locale.
(clicca qui per leggere l'articolo di Antonello Guerrera su Gazzetta.it)
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lunedì, maggio 05, 2008
La caravella
I resti di una caravella dei tempi di Vasco de Gama e di Cristoforo Colombo, con un tesoro di migliaia di monete d'oro, sono comparsi tra le sabbie del fondale antistante la costa della Namibia. La scoperta archeologica, che potrebbe essere la più importante nel suo genere nell'Africa Subsahariana, è avvenuta davanti a Oranjemund, nell'estremo sud del Paese, dove una compagnia mineraria, alzando una massiccia e deleteria "diga", era in cerca di nuovi giacimenti di diamanti. Ritrovato un mese fa dalla compagnia Namdeb, che ne ha dato notizia alla stampa solo ieri, il relitto contiene sei cannoni di bronzo del tipo comune nel '500 sui velieri spagnoli, diverse tonnellate di lingotti di rame, più di 50 teschi di elefante, stoviglie, strumenti di navigazione, armi e migliaia di monete d'oro spagnole e portoghesi coniate tra la fine del '400 e l'inizio del '500. Molte di queste portano l'effige dei "cattolicissimi re di Spagna Ferdinando II e Isabella I". Archeologi namibiani e provenienti dal Sudafrica stanno mettendo insieme le informazioni per identificare la nave: ritengono molto improbabile si tratti di pirati mentre quasi certamente è uno dei primi velieri che univano esplorazione a commercio per conto dei governi, aprendo infine la via della colonizzazione. La grossa presenza di rame farebbe pensare a una missione voluta da un sovrano in cerca del minerale indispensabile per la costruire cannoni; il commercio di avorio, inoltre, era controllato dalle famiglie reali. L'ipotesi più affascinate, ma non per questo la più probabile, è che si tratti della caravella dell'esploratore portoghese Bartolomeu Diaz naufragata nei pressi del Capo di Buona Speranza nel 1500, portando alla morte lo stesso Diaz. Membro della famiglia reale portoghese e collega di missioni di Vasco de Gama, Diaz fu il primo europeo a superare nel 1488 il Capo di Buona Speranza, che aveva battezzato "Capo delle Tempeste".
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Carovita e mercato comune
(Fonte: Misna)
In conclusione, vi consiglio questo articolo di Vincenzo Bruno, su Peacereporter:
Il mercato comune africano è quasi realtà
Pronto per dicembre il sodalizio che unirà cinque Paesi, dopo il fallimento delle esperienze del passato
La strada é in discesa per il debutto della tanto agognata East African Community (EAC). In quella che sarà un’area di libero scambio e libero transito tra Tanzania, Kenya, Uganda, Burundi e Ruanda, i governi degli Stati membri hanno infatti trovato un accordo ufficiale sul termine ultimo per le trattative e l’implementazione di condizioni eque per tutti. La scadenza è prevista per il dicembre di quest’anno, mentre l’ufficializzazione resta in programma per il 2010, in coincidenza coi piani d’integrazione regionale di là a venire.
(clicca qui per leggere l'articolo)
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sabato, maggio 03, 2008
Ecco il Trap
"I apologize, my English is not good. I'm sure in the future I will speak better". (CLICCA QUI per vedere il filmato) Giovanni Trapattoni rompe il ghiaccio con quello che da noi sarebbe argomento di frecciate, e invece a Dublino intenerisce gli irlandesi che subito lo adottano come salvatore della Patria. Lo dimostra la prima pagina del sito federale: "Trapattoni era begins", che significa "comincia l'era Trapattoni", squilli di trombe che anticipano le due amichevoli contro Serbia e Colombia in programma il 24 e 29 maggio.
L'Irlanda affronterà Italia, Bulgaria, Montenegro, Georgia e Cipro per sbarcare ai Mondiali 2010. "Il nostro obiettivo" per dirla con Trapattoni. Che ha anche chiarito: "Avevo varie offerte all'estero e dall'Italia, ma nel mio Paese non voglio tornare perché è dura, con la stampa intendo...". Il tutto, naturalmente, in inglese, un po' leggendo, un po' improvvisando. C'era l'interprete, ma non è servita. Il Trap, come al solito, ha fatto tutto da solo: quel che è certo, è che tutti lo hanno capito.
(Fonte: Gazzetta.it)
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Tragedie
Sono 9 i minatori rimasti uccisi ieri (1 maggio, ndr) in una miniera della società sudafricana Gold Fields, a ovest di Johannesburg, quando il cavo del montacarichi su cui si trovavano si è spezzato precipitandoli per decine di metri. All’incidente ne era preceduto un altro,la scorsa settimana, nella stessa miniera, in cui avevano perso la vita altri cinque operai. Le autorità locali hanno annunciato un’inchiesta per verificare il rispetto degli standard di sicurezza da parte della società.
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venerdì, maggio 02, 2008
Il laureato
"Di Pietro? Con una grammatica come la sua, c'è da credere che la sua laurea non sia altro che un titolo fornito dai servizi segreti" (Silvio Berlusconi, Corriere della sera, 27 marzo 2008).
"L'Unione Europea deve aiutare le cose giuste. Non deve difficoltarle" (Silvio Berlusconi, 24 aprile 2008).
"Io sono un benefattore: quando uno si trova in difficoltà, io lo disficolto" (Totò, "Sua Eccellenza si fermò a mangiare", 1961).
So che non dovrei allontanarmi troppo dai Mondiali ma, a volte, non so resistere. Vabbe', rischio di sorbirmi 5 anni di Berlusconi primo ministro (più altri 7 al Quirinale), dovrò pur difendermi, in qualche modo.
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