domenica, luglio 06, 2008

 

Gianni Mura/1

Come ricorderete, alcuni mesi fa, si interruppe bruscamente il mio rapporto con GQ. Beh, la chiusura (non prevista) del blog ha rischiato di farmi perdere un paio di interviste a cui tenevo, prima fra tutte quella a Gianni Mura:

Se le interviste, invecchiando, migliorassero come il buon vino, quella a Gianni Mura, che state per leggere, sarebbe un autentico capolavoro, un Montrachet del '78. Mah, il maestro ha poco a che fare con Sudafrica 2010 ma, tra una cosa e l'altra, è più di un anno che la trascino e, nel frattempo, è uscito anche il suo primo libro: cominciamo con la prima parte (non è cortissima), mi saprete dire.

In un’intervista a Libero, Mino D'amato affermava di essere stato uno di pochissimi giornalisti Rai a documentarsi, a verificare le notizie prima di riportarle. E’ davvero così? La maggior parte dei giornalisti è così superficiale?Ho paura che questo sia abbastanza vero. Anche se trovo siano in aumento quelli che si documentano -in gergo si dice "preparare la scaletta"-. Se uno va a fare un'intervista, è bene che si prepari leggendo altre interviste, non per copiare le idee, ma per sapere bene chi deve intervistare. Per chiedere qualcosa che non gli hanno ancora chiesto.
La pensa così anche Maurizio Crosetti: secondo lui, molti vostri colleghi di Repubblica girano con intere valige colme di documentazione sui pezzi che devono scrivere.Vero, infatti non si può generalizzare. E l'osservazione di D'Amato riguarda la Rai, che, per me, è già un altro mondo. Però, direi che quelli di una certa generazione -la mia, per esempio- sono stati "esortati" a documentarsi, prima di scrivere. Quindi si cresce “dritti” o “storti” a seconda di quello che avviene nei primi anni. Senza generalizzare, noto, anche nel linguaggio, una sciatteria, oltre a una scarsa documentazione, notevole nelle televisioni.
Quindi trova questa grossa differenza tra il quotidiano e la televisione, anche nell'ambito dell’informazione?
Sì. Ma anche il quotidiano è peggiorato. Per esempio, dal punto di vista dei refusi, che sono sempre troppi. Però, forse, è il vecchio scripta manent che ci rimane in testa. Mentre, invece, le televisioni sono parole che passano. Non dovrebbe essere così, ma molto spesso lo è.
Cambiamo aromento. Gli australiani stanno cercando di creare il vino in laboratorio, producendo separatamente il tannino, i profumi, l'alcool, e unendo poi le varie "componenti" ad hoc, a seconda del tipo di vino desiderato. Giorgio Bocca ha commentato dicendo -credo a ragione- che non esiste enotecnico al mondo che possa dare al vino delle qualità che già non abbia naturalmente e cita Angelo Gaia, un produttore di barbaresco, secondo cui "Migliorare la qualità di un grande vino è come aumentare di 5km la velocità di un'auto di Formula1. Chi vuole il vino ottimo lo paghi."
Per me, è una cosa ai confini della bestemmia ma, visto che viviamo in tempi in cui si clona una pecora, non capisco perché dovrei perdere il sonno se costruiscono in laboratorio un cabernet o un merlot. Detto questo, possono anche avere un vino perfetto, ma rimane un vino prodotto in laboratorio. Quindi, probabilmente perché noi abbiamo più secoli di cultura di vino alle spalle, il vino è una cosa che dipende esclusivamente, oltre che dagli uomini, dal cielo (se uno ha fortuna, non grandina) e dalla terra, cioè il territorio. E, certamente, tutti i grandi produttori di vino hanno un laboratorio, ma non per fabbricare il vino, ma per analizzare i campioni, la terra, per vedere dove piantare questo e quello. Comunque, ormai, si può fabbricare tutto in laboratorio.
Preferisce scrivere di calcio o di cucina?
Io preferirei scrivere di sport, se possibile, anche perché trovo sia piuttosto semplice scrivere di cucina. Comunque mi accorgo, con gli anni, che mi sono occupato delle due cose in cui tutti sono convinti di essere "imparati": il calcio, perchè ci hanno giocato tutti, e l'enogastronomia, perchè tutti mangiano e bevono. Diciamo che mi diverto di più quando scrivo di qualcosa che è fuori dal mio abituale, come un'intervista a uno scrittore, o a un cantautore, o un pezzo fuori dal mio “seminato” abituale. Il calcio, onestamente, mi ha quasi saturato.
Allora, le faccio una domanda che sta al di fuori di questi due argomenti, partendo da una battuta che face a Piero Colaprico, durante la presentazione di uno dei suoi libri. Lei gli disse: “Sei bravo, ma non sei Simenon”. Ecco, chi è, se esiste, il nuovo Simenon? Quali sono, oggi, i suoi giallisti preferiti? Credo che Simenon sia irripetibile, anche per la sua sterminata produzione. Scriveva e produceva libri al ritmo con cui i conigli fanno figli. Ovviamente non tutti bellissimi. Quella che ho fatto a Colaprico era una battuta, perché Simenon nel genere è inarrivabile. Ma io continuo a leggere gialli, certo. Mi piace Biondillo, per esempio, dei giovani italiani. E continuo a venerare McBain, anche se è morto, come prima Cornell Woolrich. Il giallo è un’altra passione presa da piccoli, come le parole crociate. Connelly è bravissimo, per esempio, anche se non so se si possa parlare di giallo, di nero o di thriller, ha dei tempi narrativi stupendi.
Polidoro e Lucarelli pensano che, in Italia, generi come il giallo, appunto, o il noir, abbiano molto successo perché la letteratura può permettersi di trattare temi che la saggistica o la cronaca non possono –o non vogliono- toccare. Perché il nostro è un Paese ricco di misteri. Andando dalla cronaca nera a quella giudiziaria, passando per il calcio, crede che l’Italia sia davvero così “portata” al mistero, all’intrigo? Altri Paesi, per esempio, non hanno avuto il terrorismo, ma neanche i vari scandali legati al mondo del calcio, nel 1980 come oggi.
E’ un po’ forzoso, come accostamento. Direi che l’Italia è storicamente un Paese di misteri, ma dai tempi di Nerone e degli avvelenamenti dei Borgia. In tempi recenti, ci sono misteri che possiamo definire “di Stato”: misteri irrisolti che vanno da Ustica a Piazza Fontana. E’ strano, perché questo è un Paese in cui c’è il fascino del mistero, ma sembra che si goda nel mantenerlo irrisolto il mistero. La stessa cosa se vogliamo appiccicarla a calciopoli o come vogliamo chiamarla è che all’inizio tutti erano animati da un "sacro fuoco", poi al momento delle sentenze tutto si annacqua: "poverini, perchè devono pagare i tifosi?" o "ma in fin dei coni hanno sbagliato due persone, perché dobbiamo penalizzare i giocatori?" Queste cose qui. Quindi direi che forse non siamo un Paese molto portato all’applicazione della giustizia, cioè chiediamo che sia fatta ma appena è fatta chiediamo degli sconti. Un pochino come quando si va al negozio a comprare un maglione. E non è molto consolante.
(continua)

Etichette: , , , ,


Comments: Posta un commento



<< Home

This page is powered by Blogger. Isn't yours?