lunedì, marzo 23, 2009
L’oro a +6,6% fa temere il peggio
Non è molto, dopo mesi, ma riporto questo bell'articolo di Loretta Napoleoni (foto), dal sito il caffè:
La Federal Reserve prende tutti di sorpresa e a metà settimana inizia a comprare sul mercato internazionale le obbligazioni del governo americano per un valore di 300 miliardi di dollari. È una manovra che consolida la strategia del quantitative easing adottata sulle due sponde dell’Atlantico. Ed infatti i tassi dei buoni del tesoro a 10 anni sono subito scesi mentre gli indici del mercato azionario sono saliti. La manovra funziona allora? Non tutti ne sono sicuri, anzi c’è chi fa presente che altri indicatori confermano che il mercato teme il peggio e che l’inaspettato e massiccio acquisto di obbligazioni governative è l’ennesimo segno di debolezza del sistema.
Ed ecco gli indici negativi: il dollaro che perde quota rispetto all’euro e allo yen e il prezzo dell’oro che in una giornata sale del 6.6%.
L’oro tutti lo sanno è un bene rifugio, nei momenti di crisi e di grande incertezza, come quello attuale, chi ha soldi da investire acquista lingotti o investe nell’industria aurifera. L’oro protegge anche contro l’inflazione, dopo la seconda crisi petrolifera, quella legata alla rivoluzione Komeinista, il prezzo del metallo giallo è schizzato ed ha raggiunto quota 800 dollari l’oncia dove è rimasto per lunghi periodi prima di ricominciare a scendere intorno alla metà degli anni ’80 quando l’inflazione è rientrata.
Il prezzo dell’oro è anche un indicatore della fiducia che i mercati hanno nel sistema finanziario, in quello economico e soprattutto nei confronti dei governi che li gestiscono. Durante gli anni ’90, quando tutti erano presi dall’euforia della vittoria sull’impero del male comunista, per usare una frase cara al Presidente Reagan, le quotazioni dell’oro sono rimaste basse. Anche ai tempi di Clinton e della vittoria di New Labour in Gran Bretagna, gli investitori si sono tenuti alla larga dal lingotto. La situazione è cambiata con l’inizio del conflitto iracheno, o meglio con la fine di quello ‘ufficiale’, nell’aprile del 2003, e con l’avvento della guerra civile. Il prezzo dell’oro è dunque una sorta di indice di gradimento dei politici ed al tempo stesso il barometro della loro futura popolarità.
Per chi si guadagna la vita in borsa è anche e soprattutto uno strumento speculativo, forse quello piu’ antico che esiste. All’inizio di questa settimana, Paulson & Co. Il leggendario hedge fund fondato da John Paulson, uno dei pochissimi che ha predetto la crisi del credito, ha acquistato l’11,3% delle miniere aurifere della sudafricana AngloGold Ashanti acquistandolo dalla Anglo American, una societa’ mineraria in gravi difficoltà. La decisione di investire pesantemente – Paulson ha speso 1,28 miliardi di dollari - riflette la volontà di ‘scommettere’ contro le politiche dei governi occidentali, tra cui il quantitative easing, con il minimo rischio. Le azioni della Anglo American, infatti negli ultimi 12 mesi sono scese da 36 a 11 sterline.
La Federal Reserve prende tutti di sorpresa e a metà settimana inizia a comprare sul mercato internazionale le obbligazioni del governo americano per un valore di 300 miliardi di dollari. È una manovra che consolida la strategia del quantitative easing adottata sulle due sponde dell’Atlantico. Ed infatti i tassi dei buoni del tesoro a 10 anni sono subito scesi mentre gli indici del mercato azionario sono saliti. La manovra funziona allora? Non tutti ne sono sicuri, anzi c’è chi fa presente che altri indicatori confermano che il mercato teme il peggio e che l’inaspettato e massiccio acquisto di obbligazioni governative è l’ennesimo segno di debolezza del sistema.
Ed ecco gli indici negativi: il dollaro che perde quota rispetto all’euro e allo yen e il prezzo dell’oro che in una giornata sale del 6.6%.
L’oro tutti lo sanno è un bene rifugio, nei momenti di crisi e di grande incertezza, come quello attuale, chi ha soldi da investire acquista lingotti o investe nell’industria aurifera. L’oro protegge anche contro l’inflazione, dopo la seconda crisi petrolifera, quella legata alla rivoluzione Komeinista, il prezzo del metallo giallo è schizzato ed ha raggiunto quota 800 dollari l’oncia dove è rimasto per lunghi periodi prima di ricominciare a scendere intorno alla metà degli anni ’80 quando l’inflazione è rientrata.
Il prezzo dell’oro è anche un indicatore della fiducia che i mercati hanno nel sistema finanziario, in quello economico e soprattutto nei confronti dei governi che li gestiscono. Durante gli anni ’90, quando tutti erano presi dall’euforia della vittoria sull’impero del male comunista, per usare una frase cara al Presidente Reagan, le quotazioni dell’oro sono rimaste basse. Anche ai tempi di Clinton e della vittoria di New Labour in Gran Bretagna, gli investitori si sono tenuti alla larga dal lingotto. La situazione è cambiata con l’inizio del conflitto iracheno, o meglio con la fine di quello ‘ufficiale’, nell’aprile del 2003, e con l’avvento della guerra civile. Il prezzo dell’oro è dunque una sorta di indice di gradimento dei politici ed al tempo stesso il barometro della loro futura popolarità.
Per chi si guadagna la vita in borsa è anche e soprattutto uno strumento speculativo, forse quello piu’ antico che esiste. All’inizio di questa settimana, Paulson & Co. Il leggendario hedge fund fondato da John Paulson, uno dei pochissimi che ha predetto la crisi del credito, ha acquistato l’11,3% delle miniere aurifere della sudafricana AngloGold Ashanti acquistandolo dalla Anglo American, una societa’ mineraria in gravi difficoltà. La decisione di investire pesantemente – Paulson ha speso 1,28 miliardi di dollari - riflette la volontà di ‘scommettere’ contro le politiche dei governi occidentali, tra cui il quantitative easing, con il minimo rischio. Le azioni della Anglo American, infatti negli ultimi 12 mesi sono scese da 36 a 11 sterline.
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